Se desiderate coltivare in vaso una rosa, sceglietene una crescita contenuta. Le dimensioni del contenitore dovrà essere adeguata allo sviluppo del rosaio anche se nessuna varietà riuscirà a svilupparsi in modo uguale a esemplari piantati in piena terra. Inoltre,se possibile,ogni primavera il rosaio dovrebbe venire rinvasato in un contenitore leggermente più grande. Sono scartare i vasi in terra cotta in quanto si surriscaldano moltissimo sotto il sole cocente dell’estate. Meglio optare per cassette in resina o legno. Per i rosai in miniatura le dimensioni dei contenitori devono essere almeno di 25 cm; per le rose a sviluppo leggermente superiore usare contenitori con una profondità di almeno 35 -45 cm. Per la coltura di rose in vaso vanno previste cure e attenzioni assidue: irrigazioni costanti (nelle giornate di canicola, anche 2 volte al giorno), usando acqua non troppo fredda per evitare uno shock termico alle radici; arricchite il terreno con concimazioni ripetute(una volta al mese), usando possibilmente concime liquido e asportare sempre i fiori appassiti. I polloni che crescono dalle radici o dal tronco del portainnesto vanno prontamente eliminati con un taglio netto, o meglio strappandoli alla base: sono getti selvatici che sottraggono energia alla pianta e non producono fiori; si differenziano dal resto della pianta per il colore, le dimensioni, la forma e il numero delle foglioline. Accertatevi settimanalmente che attorno ai rosai non crescano erbe infestanti e cercate di estirparle con le radici. Controllate settimanalmente i rosai rampicanti e legate ai supporti i nuovi getti in modo che assumano un portamento il più possibile parallelo al terreno; i rami giovani hanno un tessuto non ancora indurito e possono essere indirizzati nella posizione che desiderate. Senza rompersi. Intervenite in presenza di afidi o contro le infezioni di mal bianco.
Fare la minestra pare essere una cosa semplice, non è così. Se per minestra si intende un po di brodo ( o acqua rinforzata da qualche surrogato) con dentro un po di riso o di pasta, e qualche legume, allora la cosa è semplice, ma se si vuole che la minestra riesca bene e condita, giustamente dosata, gustosa e cotta a puntino, allora la cosa diventa, se non difficile, per lo meno laboriosa. Bisogna prima di tutto stabilire le proporzioni e badare alle dosi.
Della cipolla si son dette meraviglie in tutti i tempi e su tutti i toni. E’ notorio che la cipolla fa bene di dentro e di fuori, ad ogni modo vedrò di dire qualcosa anche io. La cipolla da un colorito fresco e sano se mangiata cotta; se mangiata a digiuno mantiene sani tutto il giorno (non è un pò azzardata questa affermazione? Se fosse vera,
La crisi che da alcuni anni aggredisce gli assetti socio economici del nostro Paese semina terrore e preoccupazione. I danni materiali, le insicurezze, le malversazioni speculative e le incapacità di una classe dirigente responsabile di questo disastro sono gli elementi compositivi del quadro generale entro il quale noi comuni cittadini dobbiamo convivere. Una situazione all’apparenza contrassegnata tutta dal segno negativo.
L’amicizia, essendo un prodotto del sentimento va soggetta a tutte le variazioni e in alcuni temperamenti ha l’instabilità del tempo di marzo; può resistere a lungo come può durare poco, può mutarsi in indifferenza o capovolgersi in odio, può dare dispiaceri o procurare gioie, può essere un conforto per lo spirito come può produrre avvilimento. Perciò fanno male coloro che si scalmano – non sono pochi, fra essi vanno anche annoverati degli uomini celebri – contro l’amicizia, ritenendola pressoché inutile, se non addirittura nociva alla salute dello spirito. Costoro evidentemente partono dal presupposto che l’amicizia sia fatta più per chiedere che per donare. Non è così. Tuttavia è sempre consigliabile di non fare agli amici delle confidenze che domani (non si sa mai, direbbe Pirandello)potrebbero compromettervi, come è buona regola non chiedere all’amicizia più di quanto essa in realtà possa dare. Entro i giusti limiti, l’amicizia è uno dei più dolci e cari nei rapporti interpersonali. Procura gioie e oasi di sincerità. Essa è stata oggetto di trattati: ricordo quello di Cicerone, ma ce ne sono altri non meno significativi. La qual cosa sta a dimostrare che l’amicizia con i suoi pro e si suoi contra, è uno dei cardini della vita sociale. E’ non è quasi mai vero che essa possa essere causa di favoritismi o di ingiustizie: agevola, invece, a rifletterci, il senso della bontà e giustizia nell’uomo, il quale, per natura sua, tende ad esserne avaro. E poi è più facile, quando una cosa non si può fare, dire di no a un amico che ad una persona con la quale non si abbia molta confidenza. Sembrerà un paradosso, ma è proprio così.
Sfogliando un vecchio block notes (1973) ho rinvenuto degli appunti che hanno destato la mia curiosità e che si riferiscono ad un argomento poco trattato se non altro per le ragioni scaramantiche che esso determina.
La perdita di un congiunto comporta l’adozione di una serie di regole perché il tutto abbia una manifestazione esteriore e sia quindi a tutti visibile. C’è chi, a ragione, non approva certe forme di lutto, per esempio tutto l’apparato che mette addosso una vedova per far vedere il suo stato di vedovanza: veli, vesti,orecchini, fazzoletti, tutto nero, terribilmente nero. Pare che per lei la vita sia per sempre finita e poi accada che, dopo qualche mese dalla morte del marito, smette le gramaglie e torna a risposarsi.
Più volte ho cercato di individuare quali sono gli elementi di tipo ambientale che hanno la forza di influire sullo stato d’animo e quindi modellarne l’afflato. Certamente il clima, le condizioni del tempo spesso hanno il potere di plasmare e orientare i gesti, i movimenti e le intenzioni. Incidono direttamente nella qualità della manifestazione comportamentale. In questi giorni particolarmente uggiosi mi trovo particolarmente a disagio. Non provo ne rabbia e ne risentimento, anzi mi sento particolarmente arrendevole, rassegnato. Il fatalismo spadroneggia dentro e fuori di me. Questo non va bene perché la rassegnazione è quella spaventosa riconciliazione con il destino che la vita ci impone, quando le è concesso il tempo di agire su di noi goccia a goccia. Bisogna reagire, non possono essere due gocce di pioggia che svuotano la nostra caratura caratteriale. Una sorta di osteoporosi che attacca violentemente, indebolendola la nostra forza e la nostra energia intellettuale.
Sino ai primi anni del 19° secolo si chiamava “Ciabot d’Balma” dal nome di una cascina che ospitava la famiglia Baldi , di mestiere, carradori. La cascina Savonera era posta al limite delle proprietà della Casa Reale della Venaria. Il nome del toponimo deriva quasi certamente dalla intensa presenza di Ontani(Verne) che sino a pochi anni orsono fiancheggiavano la bealera di Venaria.
Il termine Cascina indica un edificio isolato, localizzato nel territorio rurale con funzione abitativa e funzionale allo svolgimento delle attività agricole, quelle legate alle coltivazioni delle terre, all’allevamento del bestiame ed alla lavorazione e conservazione delle derrate e prodotti agricoli. In genere composta da edifici destinati all’abitazione, la stalla, il fienile, deposito per attrezzi e prodotti agricoli. Il corpo in muratura in genere cinge l’aia e la corte. Da qui anche la definizione di Cascina a Corte chiusa.
Ricordo una strana chiacchierata, penso risalga a circa 15 anni orsono. Classica situazione conviviale, nella nostra casa di campagna, a Canale d’alba nelle Langhe. Per l’occasione avevo assunto la posizione dell’uditore, per scaramanzia ma anche perché rasentavo i limiti della “summia” avendo dato sfogo al piacere di bere il nostro nebbiolo. Sosteneva un prolisso commensale a cui il nettare procurava una cineticità verbale impressionante: una vedova fin quando osserva le regole del lutto, si tiene appartata e cerca di vivere ai margini della normale interazione sociale; non fa e non riceve visite in modo preventivato se pur trattasi di parenti e intimi amici.